Note a partire da Antonio Negri, La fabbrica della strategia - 33 lezioni su Lenin
Di Lidia G. Marino

La fabbrica della strategia - 33 lezioni su Lenin, è un testo di Antonio Negri che probabilmente per i lettori e le lettrici di questa rivista non ha bisogno di troppe presentazioni. Esso prende forma dall’intreccio delle dispense del corso di Dottrine dello Stato, tenuto dallo stesso Negri all’Università di Padova tra il 1972 e il 1973, proprio su Vladimir Lenin. Un confronto disincantato e allo stesso tempo appassionato tra i presupposti e le forme organizzate del bolscevismo, e il contesto di fortissima movimentazione sociale nell’Italia degli anni Settanta, in cui l’intellettuale padovano è immerso tra militanza di base ed inchiesta sul campo. In che termini una rivoluzione può dirsi concretamente vittoriosa? Ma, soprattutto, cosa ce ne facciamo oggi di Lenin in quanto compagne e compagni? Tali i quesiti fondamentali da cui inizia l’indagine negriana: un percorso che, come sottolinea il titolo stesso, si pone il proposito di lavorare sul terreno della strategia, non in termini ermeneutici ma con una necessità di formularne una in quel determinato presente. Viene fondamentalmente proposto uno sguardo tutt’altro che dogmatico della strategia leninista, rifuggendo ogni sua possibile cristallizzazione scevra dal contesto storico.
Il testo mantiene l’impianto vero e proprio di una raccolta di lezioni, che divengono capitoli capaci di scomporre l’oggetto d’analisi secondo uno schematismo di estrema chiarezza. Specificatamente, nella prima parte del libro, ci si sofferma sulla descrizione degli elementi teorici che caratterizzano il pensiero di Lenin; nella seconda, sulle distinzioni teoriche/pratiche del pensiero di Lenin, da cui si avviano le prassi rivoluzionarie attuate in Russia; una terza viene dedicata come parte a sé stante agli studi di Lenin sui testi di Hegel1; la sezione finale si incentra sulle forme di estinzione delle statualità, che saranno analizzate a partire dai testi di Lenin, e attualizzate nel pensiero di Negri affrontando le possibili pratiche di lotte degli anni Settanta.
Il concetto di discontinuità assume fin da subito un ruolo primario, in quanto «unico punto di riferimento sistemico e continuo del marxismo»2: discontinuità nelle contestualità storiche; discontinuità nelle forme di spontaneismo, nelle forme di autogestioni proletarie e nelle forme delle organizzazioni partitiche; discontinuità nelle opportunità di estinzione dello Stato.
Per quanto riguarda il rapporto tra spontaneismo/autogestione proletaria delle lotte e le organizzazioni partitiche, Negri si confronta fino in fondo con il Lenin di Stato e Rivoluzione, in cui i Soviet sono descritti come forme di autogoverno della classe operaia, come strumento comunista di estinzione dello Stato, per il legame che questi avevano con il partito rivoluzionario. Si legge infatti, tra le prime pagine del libro, che per Lenin «Quanto più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta – in modo incomparabilmente più rapido – il bisogno di coscienza nell’attività teorica, politica e organizzativa della socialdemocrazia»3.
Il ruolo del partito, dell’organizzazione, e il suo rapporto con la classe e i movimenti, diviene quindi cruciale in questa sorta di ricostruzione storica del bolscevismo. Nel Che fare?, ad esempio, Lenin sviluppa un’articolata riflessione su come il partito rivoluzionario si ponga come avanguardia della classe operaia, e come guida della rivoluzione comunista. L’instaurazione della società comunista divenne quindi possibile, per Lenin, con una gestione del potere da parte della classe proletaria, organizzata dalla classe dirigente, capace di determinare una discontinuità/rottura con il modo di gestione della realtà lavorativa da parte della classe dominante capitalista.
Lenin individua come nemici della classe operaia e del partito socialdemocratico, non solo ogni capitalismo internazionale con le loro alleanze tra realtà capitalistiche nazionali, ma anche ogni piccola proprietà con cui una certa borghesia favorisce una cultura e un’organizzazione economica, continuativamente capitalista nelle sue dinamiche e nelle sue strutture economiche.
Negri mette in evidenza come ogni formazione sociale delle diverse forze produttive e come ogni loro conflitto di classe, dati determinati rapporti di produzione, producano a livello globale una riorganizzazione delle forze capitaliste. Tali analisi si situano in Stato e Rivoluzione e nell’antecedente scritto Il marxismo sullo Stato in cui Lenin svolge alcune interpretazioni dei testi di Marx, Engels, Kautsky, pervenendo a conclusioni per le quali ogni guerra imperialista è fondamentalmente una guerra per il conseguimento di una spartizione dei mercati e per il dominio sul “nemico operaio interno”4.

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Un altro testo analizzato da Negri è Imperialismo fase suprema del capitalismo, del 1916, in cui Lenin descrive le modalità della riorganizzazione internazionale del capitale, data una crescente concentrazione della ricchezza in un sistema capitalistico, e come ciò determini una continua e necessaria scelta di esportazioni di merci e di capitali, fuori dai propri confini, determinando una concorrenza globale capace di generare guerre. Ulteriormente, se il soggetto della storia viene individuato nella classe lavoratrice, questa diviene anche considerabile come una determinante della storia del capitale e come suo effetto poiché ogni riorganizzazione della progettazione capitalistica è sempre determinata, per questi autori, dai tentativi di sottrazione della classe proletaria al dominio della classe capitalista.
L’estinzione dello Stato costituisce un altro aspetto rilevante di analisi attuate da Lenin, con il quale egli fornisce una prima e tangibile rappresentazione di cosa possa essere il comunismo e come possa essere strutturata una società comunista. Questo progetto rivoluzionario di comunismo trova in Lenin una massima esplicazione, in Stato e Rivoluzione, in Le basi economiche dell’estinzione dello Stato, in cui descrive il processo di distruzione dello Stato borghese come conseguente ad una soppressione delle sue funzioni e all’affermarsi del momento di dittatura del proletariato, con l’appropriazione degli strumenti di oppressione da parte della classe operaia: vale a dire dei mezzi di produzione, che risiedono nella classe borghese a da cui quest’ultima viene espropriata. La fase della dittatura del proletariato e dell’avvento del socialismo deve avvenire per Lenin, ci dice Negri, attraverso un impeto insurrezionale portato avanti dal partito rivoluzionario come avanguardia e guida della classe operaia. La dittatura del proletariato viene descritta infatti come risultato di diversi elementi: primariamente «repressione della minoranza degli sfruttatori, poi come preparazione delle condizioni che attraversano la distruzione della divisione del lavoro, lo sviluppo onnilaterale degli individui, dovrebbe portare ad uno sviluppo gigantesche delle forze produttive e quindi alle soglie della libertà comuniste e all’estinzione dello Stato»5 assieme, appunto, alla socializzazione dei mezzi di produzione.
Questo tipo di avanguardismo, ci ricorda la lettura negriana, per quanto rilevante nel rapporto tra Soviet e partito, non andrebbe mai considerato in termini assoluti. Lenin, infatti, alla base delle proprie analisi sull’organizzazione riconosce alla classe operaia una capacità di guida del proletariato differenziato: «il tipo di maturità e di soggettività che possiamo attribuire ad una classe operaia che è venuta componendosi dentro lo sviluppo capitalistico maturo comporta un tipo di soggettività e una consapevolezza analitica estremamente più elevata e capace di sviluppare l’analisi immediatamente dall’interno della classe (soggettività operai che è stata chiamata, in termini abbastanza polemici, “scienza operaia”, in riconoscimento di una tendenza effettiva)»6.
Nelle condizioni sociali e politiche degli anni Sessanta e Settanta, Negri descrive una presenza della catena di comando padronale individuando e mettendo in rilievo l’esistenza di forze capitaliste in grado di scomporre la classe lavoratrice segmentandola al suo interno: ciò attraverso il processo di delocalizzazione delle strutture di fabbriche e come conseguenza dell’introduzione sempre crescente di esperienze lavorative caratterizzate da astrattezza e immaterialità nelle proprie mansioni lavorative, quali possono essere quelle intellettuali o burocratiche. Questa scomposizione della classe lavoratrice fu descritta da Negri come necessaria per depotenziare i movimenti sociali rivoluzionari, che trovarono origine e persistenza dagli avvenimenti che si svolsero in Piazza Statuto a Torino nel 1962, e che si conclusero, nel 1977.
La necessità fu quella di identificare una prassi, una capacità di costituzione di un movimento rivoluzionario, che consenta alla classe proletaria di sottrarsi al dominio astratto e totalizzante delle forze capitaliste, attraverso «l’estensione che hanno oggi le forme di lotta non tradizionale, come il sabotaggio, come la distruzione degli impianti e del materiale, della scienza e della tecnica unilaterale utilizzate e decisamente subordinate non al mitico permanere della legge del lavoro, ma semplicemente all’irrazionalità del comando»7.
Conclude lo stesso autore che se Lenin, nelle specifiche condizioni economico-sociali della Russia ancora feudale, agricola, zarista, aveva tracciato «un percorso rettilineo dalla spontaneità al sovietismo, attraverso il partito e l’insurrezione contro l’autocrazia. Per noi il cammino va dal soviettismo delle masse all’autorganizzazione proletaria dell’estinzione del lavoro, attraverso la guerra civile, contro la forma attuale della dittatura borghese. In ciò è la verifica del nostro leninismo e l’attualità di Lenin»8.

Copertina libro
Note
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Tra i testi analizzati da Negri, vi furono i Quaderni filosofici, scritti tra il 1914 e il 1915 da Vladimir Lenin; Negri li considerò di notevole importanza poiché ponevano in rilievo come fosse stato «il senso logico della dialettica» di Friederich Hegel ad avere consentito a Lenin come a Karl Marx di conoscere la realtà, rappresentandola in termini dialettici, A. Negri, La fabbrica della strategia – 33 lezioni su Lenin, manifestolibri, Roma 2023, p. 167. Questo poiché, dice Negri, da un lato la realtà dialettica di Hegel era capace di costruire verità che avevano una plausibilità di esistenza e, dall’altro lato, questi autori poterono intravedere il limite di questa stessa opportunità di conoscenza del reale, data dalla dialettica hegeliana, con il riconoscimento di una modificazione ontologica dell’uomo, con il tramite della prassi sociale, che non poteva essere presa in considerazione da Hegel. Questo poiché per Karl Marx, Vladimir Lenin e Friederich Hegel esistevano diversi soggetti della storia per cui mentre per Hegel il soggetto della storia era la classe borghese, per Marx e Lenin era la classe proletaria
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A. Negri, La fabbrica della strategia, cit., p.18
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Ivi, p. 37
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Ivi, p. 199
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Ivi, p. 254
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Ivi, p. 44
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Ivi, p. 256
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Ivi, p. 155